Nikki Haley può battere Trump nelle primarie Repubblicane?
Nel nostro approfondimento settimanale parliamo delle primarie del Partito Repubblicano e del dibattito politico sui finanziamenti per Israele e Ucraina
Nikki Haley sta crescendo nei sondaggi
C'è un tratto comune in tutti i sondaggi riguardanti le primarie del Partito Repubblicano: in cima alle rilevazioni, ormai indisturbato da diversi mesi, vi è Donald Trump. Cosa è cambiato, rispetto ad un po' di tempo fa, è il margine di vantaggio sugli sfidanti. Lo scorso febbraio, tra l'ex presidente e Ron DeSantis, c'era una differenza di soli dieci punti, con il primo intorno al 42 per cento ed il secondo al 32. Oggi questo divario si è ampliato ed è di oltre 40 punti, con il tycoon che è ormai il frontrunner incontrastato con quasi il 60 per cento dei consensi, mentre il migliore degli inseguitori è appena al 12.
Delle difficoltà di Ron DeSantis abbiamo parlato in un altro numero della nostra newsletter: oggi proveremo a tracciare un quadro della situazione attuale nelle primarie, per capire se qualcuno può avere delle speranze di insidiare la leadership di Trump. Escludendo i discorsi giudiziari riguardanti l'ex presidente, che potrebbero modificare lo scenario ma i cui sviluppi sono difficili da prevedere, ci sono segnali di vitalità da parte di altri candidati?
Gli aspetti positivi riguardano principalmente Nikky Haley, una delle candidate che sta affrontando la campagna elettorale con un profilo un po' più moderato rispetto a Donald Trump e Ron DeSantis. Se in Iowa quest'ultimo è ancora in seconda posizione alle spalle del tycoon, in New Hampshire (ovvero il secondo stato che andrà al voto) è proprio Haley che al momento occupa la piazza d'onore: nei sondaggi è cresciuta dal 4 per cento di agosto al 14 attuale. Un discorso simile si può fare anche in South Carolina, dove Haley ha addirittura un vantaggio di quasi 10 punti su DeSantis.
C'è un altro aspetto che potrebbe aiutare Haley in New Hampshire: nell'ultima settimana al suo fianco ha fatto campagna elettorale il popolare governatore dello stato Chris Sununu, già in passato considerato fra i papabili per la candidatura presidenziale. Quest'ultimo ha aperto anche alla possibilità di dare il suo endorsement, fattore che potrebbe spingere notevolmente la candidata.
È presto per dire se questi numeri potranno servire come base per crescere e insidiare la leadership di Trump, ma è indubbio come questi dati siano comunque da guardare con attenzione, soprattutto quando si inizierà a votare. Un buon risultato nei primi stati, del resto, potrebbe rappresentare un trampolino di lancio per fare bene anche successivamente.
Ucraina e Israele, i dibattiti interni ai partiti
Il tema dell’assistenza nei confronti di Israele e Ucraina resta centrale nel dibattito politico americano e sta alimentando le discussioni interne ai due principali partiti. Delle resistenze di una fazione Repubblicana nei confronti dei finanziamenti da inviare al paese guidato da Zelensky abbiamo scritto a lungo: il Freedom Caucus (ovvero il gruppo ultraconservatore del GOP) aveva più volte richiesto lo stop degli aiuti durante il dibattito per il rifinanziamento delle attività federali, ed è pronto a tornare alla carica sul tema quando la questione si riaprirà.
Proprio in settimana si è tenuto un summit fra i leader del Partito Repubblicano in Camera e Senato, Mike Johnson e Mitch McConnell, in cui sono emerse alcune divergenze. Il secondo ha espresso la necessità di aumentare la spesa militare per fronteggiare le minacce globali che gli Stati Uniti sono chiamati ad affrontare, ed ha sollecitato per un pacchetto di aiuti che non sia rivolto semplicemente verso Israele ma che contenga anche finanziamenti per l'Ucraina.
Questo proprio perché Johnson, al momento, ha proposto un pacchetto alla Camera rivolto esclusivamente a Israele, legando lo stanziamento dei fondi ai tagli all'IRS, l'agenzia federale che si occupa di riscuotere le tasse (su cui la Casa Bianca ha già preannunciato il veto). Contestualmente, però, ha promesso di proporre successivamente anche un pacchetto verso l'Ucraina, ma su questo c'è un certo scetticismo da parte dei suoi colleghi di partito.
Il Partito Democratico, dal canto suo, nel corso degli ultimi due anni è sempre stato compatto nella necessità di garantire questi aiuti, con il consenso più o meno unitario anche dell’ala progressista (generalmente contraria all’aumento delle spese militari). Nel corso delle ultime settimane, pur non cambiando linea, quest’ultima area ha chiesto di legare i finanziamenti verso l’Ucraina e Israele allo stanziamento di fondi in politica interna.
In una lettera inviata al leader del Senato, i membri della Upper House Bernie Sanders (I-Vt.), Elizabeth Warren (D-Mass.), Ed Markey (D-Mass.), Jeff Merkley (D-Ore.), Mazie Hirono (D-Hawaii) e Peter Welch hanno infatti scritto: “Siamo favorevoli a fornire questi fondi senza ulteriori ritardi. Chiediamo, però, di includere nel disegno di legge finanziamenti di pari importo per affrontare le urgenti e crescenti emergenze che il popolo americano si trova ad affrontare". Fra queste sono inclusi la sanità, la questione abitativa, la crisi degli oppioidi, il problema dell'insicurezza alimentare e la necessità di fronteggiare i disastri naturali.
Sempre a riguardo della vicenda, non mancano le manifestazioni e le dimostrazioni popolari. Durante una audizione al Senato, ad esempio, il Segretario di Stato Antony Blinken è stato interrotto da un gruppo di manifestanti che invocava un cessate il fuoco a Gaza: questi sono stati poi scortati fuori dalla polizia uno per volta. Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, inoltre, ha rilasciato un'intervista al giornale francese Le Monde in cui ha delineato la strategia e la visione americana in questa crisi. Alla prima domanda, sull'isolamento degli Stati Uniti in Medio Oriente, Sullivan si è detto in disaccordo, spiegando che "gli Stati Uniti hanno raccolto abbastanza voti per approvare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che condanna Hamas e affronta le questioni umanitarie. L'unico motivo per cui non è stata approvata è stato il veto di Russia e Cina. Tuttavia, abbiamo ottenuto il sostegno di un numero significativo di paesi in tutto il mondo, tra cui l'America Latina, l'Asia e l'Europa".
Sul presunto via libera statunitense alle operazioni militari, Sullivan ha risposto che "Israele è una nazione sovrana" e che non ha bisogno dell'approvazione americana, ma Washington solleva "questioni difficili" e fornisce "consigli come amico". Il consigliere per la sicurezza nazionale ha poi detto che Israele dovrebbe evitare gli errori degli Stati Uniti dopo l'11 settembre 2001 che hanno portato a un allargamento del conflitto nel Medio Oriente. "La nostra ferma convinzione è che proteggere i civili e consentire la consegna di aiuti vitali sia un dovere morale e strategico", ha chiosato ancora il politico americano.
Le altre notizie della settimana:
Il sindacato automobilistico americano United Auto Workers (UAW) ha annunciato di aver raggiunto un accordo preliminare con Stellantis tre giorni dopo aver finalizzato un'intesa simile con Ford, con l'obiettivo di porre fine ad uno sciopero che dura da diverse settimane. Delle motivazioni di quest’ultimo abbiamo parlato a lungo in vecchi numeri della nostra newsletter, ma in generale queste si possono riassumere nella richiesta di un aumento degli stipendi dei lavoratori.
L'accordo prevede un aumento del 25% dei salari base entro il 2028 e comprende diversi aggiustamenti, tra cui quello legato al costo della vita, che consentirà una crescita dello stipendio fino al 33%. L'aumento salariale, che dovrà comunque essere ratificato dai membri dell’UAW (anche se i primi voti tenuti in queste ore sono ampiamente a favore dell’intesa), è leggermente inferiore al 40% richiesto dal sindacato quando ha lanciato lo sciopero il 15 settembre. Tuttavia., è notevolmente superiore al 9% proposto da Ford ad agosto.
L'era della non regolamentazione della tecnologia sembra essere definitivamente finita negli Stati Uniti. "Per cogliere le promesse dell'intelligenza artificiale ed evitare i rischi, dobbiamo regolamentare questa tecnologia. Non c'è altra via", ha dichiarato il presidente americano Joe Biden alla Casa Bianca dopo aver firmato un decreto a riguardo.
L'ordine esecutivo richiede innanzitutto che gli sviluppatori di intelligenza artificiale "condividano i risultati dei test di sicurezza e altre informazioni sensibili con il governo degli Stati Uniti". Questo obbligo riguarda i modelli di AI che possono avere conseguenze sulla sicurezza nazionale ed economica, oltre alla tutela della salute. In seguito, le autorità federali svilupperanno standard e ne controlleranno la conformità.
Sebbene l’attenzione mediatica sia rivolta quasi esclusivamente sulle primarie del Partito Repubblicano, in vista delle prossime presidenziali anche il Partito Democratico sarà chiamato a scegliere il proprio candidato. La questione non è al centro del dibattito pubblico perché, al momento, la vittoria di Biden appare pressoché scontata, ma non mancano i movimenti dietro le quinte a riguardo.
In New Hampshire, il primo stato in cui si voterà, il nome di Biden non sarà ad esempio sulle schede a causa di alcune questioni burocratiche: il Democratic National Committee, seguendo le richieste del presidente, aveva fissato prima le elezioni in South Carolina, ma il New Hampshire in maniera autonoma ha disatteso alla misura. Nonostante questo, l’inquilino della Casa Bianca ha iniziato la sua campagna per farsi sostenere tramite la pratica del write-in, che permette di votare per qualsiasi candidato semplicemente scrivendo il suo nome.
Si è tenuto nella giornata di mercoledì un voto alla Camera dei Rappresentanti per espellere il deputato George Santos, un Repubblicano eletto lo scorso novembre ma finito subito al centro del ciclone dopo che si sono scoperte le notevoli falsità nel suo curriculum. Il membro del Congresso è stato anche incriminato per diversi reati tra cui frode telematica, riciclaggio di denaro e malversazione di fondi pubblici.
Santos si è difeso affermando il suo diritto a restare in carica almeno finché non sarà emanata una sentenza di condanna. Nonostante alcuni membri del suo stesso partito (in particolar modo quelli di New York, il suo stato) si fossero dichiarati a favore dell’espulsione, la Camera ha votato contro l’espulsione con 179 voti favorevoli e 213 contrari: fra questi figurano ben 31 Democratici, preoccupati del precedente che avrebbe potuto creare tale risoluzione prima di una sentenza o di un processo completo del Comitato Etico.