Tutto quello che c’è da sapere sulle proteste nei campus americani
Nel nostro approfondimento settimanale parliamo delle proteste nei campus americani, del processo contro Donald Trump e della campagna elettorale portata avanti dal tycoon
Tutto quello che c’è da sapere sulle proteste nei campus americani
Al centro del dibattito pubblico, negli Stati Uniti, continuano a esserci le proteste nei campus in relazione al conflitto in corso nella striscia di Gaza. Tali manifestazioni vanno avanti ormai da diverse settimane, chiedendo soprattutto un cessate il fuoco e la fine degli investimenti delle università americane in quelle israeliane. Nonostante questo, gli scopi del movimento non sono omogenei: all’Università di Yale e alla Cornell University, ad esempio, gli studenti puntano anche alla sospensione di ogni finanziamento all’industria bellica.
Come sottolinea il New York Times, la maggior parte di queste proteste si sta svolgendo in modo pacifico, ragion per cui in diverse zone non vi sono stati interventi da parte delle forze dell’ordine. A Washington, nonostante il pressing politico portato avanti dagli esponenti del GOP, la decisione della polizia è stata quella di non sgomberare l’università. “Nel nostro distretto le persone devono avere l’opportunità di avere libertà di parola. Non c’è stata violenza”, ha affermato infatti Pamela Smith, alla guida della polizia. “Se questi atteggiamenti dovessero cambiare, potrebbe cambiare anche il nostro atteggiamento”.
In molte altre aree, invece, le forze dell’ordine sono intervenute operando migliaia di arresti. La maggior parte di questi sono stati effettuati fra New York e Los Angeles: nella notte fra martedì e mercoledì, infatti, è stata sgomberata la Columbia University a Manhattan. L’irruzione della polizia è avvenuta su esplicita richiesta del presidente Nemat Shafik, che ha chiesto una presenza a presidio dei luoghi almeno fino alla metà del prossimo maggior.
Più di duecento arresti sono stati effettuati anche nell’University of California a Los Angeles (UCLA), dove nella notte fra il 30 aprile e il 1 maggio sono scoppiati violenti scontri tra studenti pro-Palestina, accampati in protesta, e contromanifestanti pro-Israele (si è trattato della prima esplicita manifestazione a sostegno dell paese). Questi ultimi hanno tentato di distruggere le barricate erette a protezione dell'accampamento, lanciando oggetti e fuochi d'artificio. La polizia antisommossa è intervenuta per ristabilire l'ordine su richiesta dell'università, che aveva dichiarato illegale l'accampamento.
Campus in cui la polizia ha effettuato degli arresti. Foto del New York Times
Particolare attenzione è stata posta anche sull’Università di Chicago, che nel 2015 ha adottato degli standard a riguardo della libertà di espressione che sono divenuti un punto di riferimento per tutto il paese. Nonostante questo, però, il presidente Paul Alivisatos, nella giornata di venerdì, ha affermato come tali proteste non potessero continuare. “Lunedì scorso ho dichiarato che saremmo intervenuti solo qualora tale esercizio di libera espressione avesse bloccato le possibilità di apprendimento altrui o avesse posto in pericolo la sicurezza dell’università”, ha infatti affermato, “ora abbiamo raggiunto quel punto”. Sebbene nella serata di venerdì siano arrivati diversi poliziotti intorno al luogo in cui vi erano i protestanti, la situazione al momento è ancora sotto controllo.
La Brown University, invece, ha raggiunto un accordo con i manifestanti pro-Palestina che hanno accettato di smantellare il loro accampamento in cambio della promessa che il consiglio di amministrazione si esprima su eventuali "disinvestimenti da società che rendono possibile il genocidio a Gaza e ne traggono profitto". Tale compromesso è stato fortemente criticato da uno dei principali finanziatori, il miliardario Barry Sternlicht, che ha annunciato la sospensione dei suoi investimenti nell’istituzione. Non si tratta dell’unica università in cui si è arrivati a un accordo: intese simili sono state raggiunte anche all’University of California, Riverside University, Northwestern University, Rutger Università e University of Minnesota.
Un altro aspetto interessante di queste proteste è legato al ruolo assunto in esse dai membri delle stesse facoltà. Come sottolinea il New York Times, un piccolo numero di docenti ha avuto un ruolo attivo nel fornire supporto logistico ed emozionale nei confronti degli studenti. Alla Columbia University, ad esempio, molti hanno offerto sostegno dando supporto materiale per gli studenti, garantendo cibo e acqua oppure incorporando i messaggi delle proteste all’interno delle lezioni accademiche. Annelise Orleck, una professoressa di 65 anni al Darthmouth College, è stata fra le novanta persone arrestate dalla polizia durante l’irruzione effettuata mercoledì.
Qual è stata, invece, la reazione dei candidati alle elezioni presidenziali? Proprio a riguardo delle manifestazioni effettuate al Darthmouth College, Donald Trump ha lodato la prontezza con cui le forze dell’ordine sono intervenute, sgomberando il campus dopo appena due ore dall’inizio delle occupazioni. Joe Biden ha invece condannato le proteste che sono sfociate nella violenza, sottolineando che gli americani hanno il diritto di protestare solo finché tali dimostrazioni rimangono pacifiche. Tuttavia, l’inquilino della Casa Bianca ha respinto l'idea che la Guardia Nazionale debba essere chiamata a sedare alcune delle manifestazioni.
Sempre a riguardo del conflitto in corso nella striscia di Gaza, la discussione non è limitata ai campus. Nel mondo politico, infatti, stanno emergendo posizioni fra loro molto diverse fra loro all’interno degli stessi partiti. In una recente intervista rilasciata al TIME, ad esempio, l'ex Presidente Donald Trump ha dichiarato che la "Soluzione dei due stati" non sarebbe più una soluzione praticabile per risolvere il conflitto israeliano-palestinese e, più in generale, il conflitto arabo-israeliano. "Un tempo pensavo che la soluzione potesse funzionare, ma ora ritengo che sarebbe molto più difficile da realizzare", ha affermato il Tycoon, che nel corso dell'intervento non ha risparmiato critiche all'operato dell'attuale Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Ottantotto parlamentari Democratici americani, invece, hanno inviato una lettera al presidente Joe Biden, esortandolo a valutare l'interruzione delle vendite di armi a Israele se il governo israeliano non dovesse cambiare la sua condotta nella guerra contro Hamas a Gaza. I firmatari esprimono "gravi preoccupazioni riguardo alle restrizioni imposte da Israele sull'invio degli aiuti umanitari, sostenuti da Washington, a Gaza, contribuendo a una catastrofe umanitaria senza precedenti".
Al tempo stesso, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha votato per ampliare la definizione di antisemitismo utilizzata dal Dipartimento dell'Educazione. La proposta di legge, approvata da esponenti sia democratici che repubblicani, adotta la definizione proposta dall'Alleanza Internazionale per la Memoria dell'Olocausto (IHRA). L’antisemitismo è definito come una certa percezione degli ebrei che può manifestarsi come odio nei loro confronti, con manifestazioni retoriche e fisiche che prendono di mira individui ebrei e non ebrei e/o i loro beni, istituzioni comunitarie e luoghi di culto.
Tuttavia, coloro che si oppongono alla proposta di legge sostengono che questa definizione potrebbe impedire alcune critiche legittime allo Stato di Israele, un'accusa dalla quale l'IHRA si difende. I gruppi pro-palestinesi accusano i parlamentari di voler limitare la libertà di espressione nei campus universitari americani. Per entrare in vigore, la misura deve ancora essere approvata al Senato, dove il suo futuro è incerto, e poi promulgata dal presidente Joe Biden.
Prosegue il primo processo contro Trump
Sta proseguendo il primo processo penale nei confronti di Donald Trump, portato avanti da una corte di Manhattan e riguardante un presunto pagamento effettuato nel 2016 nei confronti della pornostar Stormy Daniels per comprare il silenzio dell’attrice su un rapporto sessuale avuto con lui una decina di anni prima. Tale pagamento, secondo l’accusa, sarebbe stato fatto in maniera illegale violando anche le norme sulle campagne elettorali.
Nel corso dell’ultima settimana, la seconda del processo, l’attenzione è stata soprattutto sulla testimonianza di Keith Davidson, avvocato di due donne che sarebbero state pagate per mantenere il silenzio sulla relazione con Trump. Il fatto che quest’ultimo abbia chiamato in causa diverse altre celebrità citate come suoi clienti, ha spinto la difesa del presidente a mettere in discussione la sua credibilità, sostenendo che il legale usasse questa strategia per estorcere denaro a personaggi famosi.
La posizione di Donald Trump, in questa settimana, esce rafforzata anche per un altro motivo: le audizioni attualmente in corso, infatti, stanno andando a minare la credibilità di Michael Cohen. Quest’ultimo è l’uomo che, secondo l’accusa, avrebbe materialmente eseguito il pagamento nei confronti della pornostar e rappresenta un testimone chiave nel processo.
La retorica di Trump sta diventando più estremista
Un articolo del New York Times analizza come Donald Trump stia adottando una retorica molto più cupa e minacciosa rispetto alle sue precedenti corse elettorali. Nei suoi comizi, Trump dipinge un quadro apocalittico di un'America in declino e sull'orlo del disastro, minacciata da "vermi", "nemici interni" e forze radicali di sinistra che vogliono distruggere il Paese.
Questo rappresenta un significativo cambio di tono rispetto alle campagne del 2016 e del 2020, in cui Trump si concentrò maggiormente su un messaggio di rinnovamento, di trionfo contro le élite corrotte e di restaurazione della grandezza americana. Questi messaggi sembrano risuonare in particolare tra i suoi sostenitori più fedeli, molti dei quali sono immersi in teorie del complotto come QAnon che vedono Trump come un messia in una battaglia cosmica tra bene e male.
Trump sta anche ponendo molto più enfasi sulla questione dell'immigrazione irregolare rispetto al passato, descrivendo la situazione al confine meridionale come un'"invasione" deliberatamente orchestrata dall'amministrazione Biden per indebolire e alla fine rimpiazzare l'elettorato americano. Oltre all'immigrazione, Trump sostiene che Biden e i Democratici starebbero attuando un piano deliberato per annullare la volontà degli elettori e instaurare una base di potere permanente.
Le altre notizie della settimana
Un gruppo di influenza guidato dai miliardari fratelli Koch, nella giornata di lunedì ha lanciato una costosa campagna pubblicitaria per criticare le scelte economiche portate avanti dalla presidenza Biden.
Tale campagna si rivolge principalmente all’elettorato Latinos, considerato cruciale per le speranze di vittoria del Partito Repubblicano. A riguardo va già sottolineato come in passato vi siano stati investimenti simili anche a favore di Biden, effettuati dai gruppi liberali Somos Votantes e Somos PAC.
La scorsa domenica si è tenuto il primo incontro fra Ron DeSantis e Donald Trump dopo la fine delle primarie. Come raccontato dal New York Times, il presidente sta cercando di migliorare la sua raccolta fondi (fin qui non eccellente), cosa in cui il governatore della Florida si è dimostrato fin qui eccellente.
L’amministrazione Biden è intenzionata a riclassificare il livello di rischio della marijuana. Stando a quanto riportato da The Hill, in linea con fonti vicine alla Casa Bianca, l’idea sarebbe quella di rimuoverla dall’elenco delle sostanze di prima fascia (ovvero quelle più pericolose) per portarlo in terza fascia. Tale processo, in ogni caso, richiederà diversi mesi.
Il Senato dell'Arizona ha votato per abrogare una legge del 1864 che vietava l'interruzione volontaria di gravidanza dal momento del concepimento, con l'unica eccezione in caso di pericolo di vita per la madre. La decisione arriva dopo che la Corte Suprema dello stato aveva recentemente dichiarato la legge "applicabile".
La governatrice democratica dell'Arizona, Katie Hobbs, ha accolto con favore la decisione del Senato, affermando che il divieto totale avrebbe messo a rischio la vita delle donne e negato il diritto di milioni di persone di decidere del proprio corpo.