Si sta tornando a parlare dell’età di Biden
In questo numero parliamo di un rapporto che ha sollevato perplessità sulle condizioni mentali di Biden, di una discussa legge al Senato e delle primarie in Nevada
Si sta tornando a parlare dell’età di Biden
È stato pubblicato il rapporto riguardante i documenti riservati che Joe Biden aveva in casa. Il procuratore speciale Robert Hur, un Repubblicano incaricato dal segretario alla Giustizia Merrick Garland, ha concluso che il presidente "ha intenzionalmente conservato e divulgato materiali classificati" ma che, allo stesso tempo, "le prove non stabiliscono la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio".
Il procuratore speciale ha anche citato la cooperazione di Biden con gli investigatori, in netto contrasto con il comportamento dell'ex presidente Donald J. Trump, che ha obbligato l'FBI a una maxi perquisizione della sua villa in Florida per recuperare i documenti che aveva con sé Il rapporto è però diventato molto problematico perché Hur ha sostenuto come Biden abbia dei grossi problemi di memoria.
“Biden si presenterebbe probabilmente dinanzi a una giuria, come ha fatto durante il nostro colloquio con lui, come un anziano simpatico e ben intenzionato ma con una scarsa memoria", ha scritto Hur. Sarebbe difficile convincere una giuria che "un ex presidente ormai ottantenne" è colpevole di un reato che "richiede uno stato mentale di intenzionalità". La risposta di Joe Biden non si è fatta attendere, in particolar modo per questo ultimo punto. Durante un'improvvisata conferenza stampa, il presidente ha detto che "c'è anche un riferimento sul fatto che non ricordo quando è morto mio figlio. Come diavolo si permette? Quando mi è stata posta la domanda ho pensato: non sono affari loro”.
La questione è stata approfondita da ufficiali della Casa Bianca, che hanno definito il report come un documento pubblicato esclusivamente da motivazioni politiche. Come sottolineato dal New York Times, però, la questione dell’età e dell’affidabilità fisica del presidente preoccupa molto gli americani. Un sondaggio pubblicato nel corso dell’anno da Times/Siena College ha rivelato come il 70 per cento degli intervistati (selezionati solo in stati chiave) concordino con la seguente frase: “Biden è troppo anziano per fare il presidente”, ed oltre il 60 ritiene che l’inquilino della Casa Bianca abbia problematiche mentali che gli renderebbero complicato governare.
Lo stesso quotidiano, però, sottolinea come sia difficile valutare quanto l’età possa avere un peso nell’elezione di novembre: da un lato il probabile sfidante, Donald Trump, è solo di pochi anni più giovane, dall’altro questa problematica tocca questioni puramente soggettive. Si legge infatti nell’articolo: “A una domanda così semplice, come ‘perché gli elettori pensano che Biden sia troppo vecchio, ma non il signor Trump?’, è difficile rispondere. È evidente che gli elettori lo credono, ma la spiegazione probabile è altrettanto superficiale e soggettiva, perché riguarda i sentimenti degli elettori individuali. Soggettivo, naturalmente, non significa non importante”.
Il fatto che la questione sia tornata al centro del dibattito è dimostrato anche dal gran numero di approfondimenti pubblicati sul tema dopo il report dello special counsel. Un articolo della CNN, ad esempio, sottolinea come anche i tentativi di difesa portati avanti dal presidente possano aver esacerbato le sensazioni negative, in virtù di un atteggiamento in alcuni momenti nervoso, proprio in un periodo in cui Biden ha compiuto diverse gaffe. Un sondaggio pubblicato da NBC News ha inoltre sottolineato come il numero di americani preoccupati per l’età del presidente sia superiore rispetto alla percentuale di quanti lo sono per i problemi legali che riguardano Donald Trump.
La Casa Bianca ha rigettato le accuse relative alla salute mentale del presidente e non ha voluto specificare quando Biden terrà i prossimi controlli a riguardo della sua salute.
Il Senato ha affossato una norma sull’immigrazione
La giornata di mercoledì è stata particolarmente delicata per quanto riguarda il confronto politico fra i due partiti. I Repubblicani al Senato hanno infatti affossato un accordo bipartisan che avrebbe incluso misure per regolare in maniera più efficace l’immigrazione, oltre a finanziamenti per l’Ucraina e Israele, in virtù dell’opposizione portata avanti dall’ala più conservatrice e dall’ex presidente Donald Trump.
Anche diversi Democratici, fra cui Bob Menendez, Alex Padilla, Elizabeth Warren ed Ed Markey, oltre all’Indipendente Bernie Sanders, si sono schierati contro questa norma. La senatrice del GOP Lisa Murkowski, che si era spesa in maniera attiva per trovare un’intesa, ha sostenuto che questa scelta finirà per minare la credibilità negoziale del suo stesso partito in futuro.
Come sottolineato da NBC News, questa votazione rappresenta una prova di forza per l’ex presidente Donald Trump e un segno della perdita di influenza al Senato di Mitch McConnell, che da diversi anni era stato in grado di controllare il suo partito nella Upper House. Il Repubblicano Lankford, uno dei più conservatori del GOP che ha lavorato per negoziare l’intesa, ha attribuito il rifiuto trumpiano alla volontà di non regalare una vittoria politica al suo sfidante. Il senatore ha infatti affermato: “Se provi a presentare un disegno di legge che risolva la crisi al confine durante quest'anno presidenziale, farà tutto il possibile per distruggerti, perché non vuole che tu risolva la questione in vista delle elezioni”.
Come risposta, il Senato ha votato per iniziare la discussione su una legge che garantirebbe nuovi fondi per Taiwan, Israele e Ucraina. Qualora dovesse passare, però, non sarà scontata la sua approvazione alla Camera, in virtù dell’ostruzionismo trumpiano e dell’isolazionismo di una parte del GOP in politica estera.
Nikki Haley ha perso le primarie in Nevada
Nelle primarie del Partito Repubblicano del Nevada, l'ex ambasciatrice Nikki Haley ha subito una sconfitta, ottenendo solo il 31,1% dei voti, contro il 62,5% per l'opzione "Nessuno di questi candidati". Questi risultati riflettono uno scenario politico particolare.
Il Nevada richiede che i partiti tengano le primarie, ma il GOP voleva utilizzare il meccanismo dei caucus (come in Iowa). Ciò ha portato a una situazione paradossale in cui Haley ha partecipato solo alle primarie, mentre Trump ha preso parte solo ai caucus, gli unici che assegnano delegati (di fatto necessariamente finiti tutti a Trump).
Nonostante Haley fosse l'unica candidata effettiva delle primarie (con Mike Pence presente anche sulla scheda ma già ritiratosi dalla corsa), i 64.000 elettori il cui voto è stato scrutinato hanno preferito l'opzione "Nessuno di questi candidati". Considerando l'assenza di opposizione, il risultato è particolarmente imbarazzante ed evidenzia come la decisione di non fare campagna elettorale in Nevada (e di non partecipare ai caucus ma solo alle primarie) non è stata prudente. Una vittoria qui avrebbe potuto dare slancio alla sua candidatura nel South Carolina.
Nonostante questo, la campagna della candidata ha affermato: “Non abbiamo speso un centesimo né un briciolo di energia sul Nevada. Abbiamo preso la decisione fin dall'inizio che non avremmo pagato 55.000 dollari per partecipare a un processo che era truccato a favore di Trump”.
Le altre notizie della settimana:
Il prossimo 13 febbraio si terrà una special election nel New York 3rd congressional district, in cui si voterà per scegliere il sostituto del deputato George Santos, espulso dalla Camera dei Rappresentanti dopo che si sono scoperte le menzogne affermate dal politico sul suo passato e sul curriculum, che avevano portato a diverse problematiche legali.
Vista l’esigua maggioranza in mano al Partito Repubblicano, l’elezione sarà particolarmente importante, perché una vittoria dei Democratici renderebbe al GOP ancor più difficile il controllo sulla stessa Camera. Al momento i sondaggi vedono il Dem Tom Suozzi leggermente avanti rispetto allo sfidante Mazi Pilip, anche se il numero di indecisi resta alto.
Il presidente Biden ha emesso nuove linee guida a riguardo delle vendite di armi effettuate dagli Stati Uniti, soprattutto in virtù della maggiore da parte di alcuni senatori Democratici, preoccupati per il modo in cui Israele sta conducendo operazioni militari a Gaza.
Come sottolineato da The Hill, le linee guida richiedono ai paesi destinatari di offrire rassicurazioni sul fatto che le armi degli Stati Uniti vengano usate nel rispetto del diritto internazionale.
Una corte d’appello federale ha respinto la richiesta di Donald Trump di essere considerato immune dai procedimenti giudiziari per l’accusa di aver complottato per ribaltare il risultato delle elezioni del 2020.
Un collegio di tre giudici della Corte d'Appello di DC ha respinto le argomentazioni di Trump secondo cui i suoi tentativi di rimanere al potere, anche promuovendo false accuse di frode elettorale, rientravano nell'ambito dei suoi doveri ufficiali. Questo era un principio cruciale della difesa di Trump.
La candidata alle primarie del Partito Repubblicano Nikki Haley ha richiesto la protezione del Secret Service a causa delle crescenti minacce che sta ricevendo dopo essere diventata l'unica candidata che si oppone a Donald Trump.
Il Secret Service, negli Stati Uniti, è un'agenzia del governo federale controllata dal Dipartimento della Sicurezza Interna incaricata della protezione dei Presidenti degli Stati Uniti (attuali ed ex) e delle rispettive famiglie. Normalmente anche i candidati alla presidenza dopo le convention estive vengono messi sotto protezione. L'eventuale concessione della scorta sarà decisa dal Segretario della Sicurezza Interna dopo aver ascoltato un comitato consultivo.
L'ex governatore repubblicano del Maryland Larry Hogan ha annunciato a sorpresa la sua candidatura per la carica ora ricoperta del senatore uscente Democratico Ben Cardin. La sua candidatura mette in gioco uno Stato altrimenti fuori portata per i Repubblicani, complicando ulteriormente la già difficile mappa dei Democratici per il Senato del 2024.
Moderato e severo critico dell'ex presidente Trump, Hogan ha lasciato l'incarico nel 2023 come uno dei governatori più popolari del Paese.
Lo speaker radiofonico Tucker Carlson, esponente conservatore spesso vicino alle posizioni putiniane, ha tenuto un’intervista al presidente russo.
Fra i contenuti del colloquio, oltre alle ragioni sulla guerra in Ucraina esposte da Putin, vi è da segnalare la richiesta operata dallo stesso Carlson per far rilasciare il giornalista americano Gershkovich, attualmente detenuto in Russia.