Le divisioni interne al Partito Repubblicano
Le divisioni del Partito Repubblicano, i Democratici e le midterms, il mercato del lavoro e le altre notizie della settimana.
Le divisioni interne al Partito Repubblicano
Chi, subito dopo il drammatico assalto al Congresso dello scorso 6 gennaio, aveva ipotizzato un ridimensionamento del ruolo di Donald Trump all’interno dei repubblicani e dell’agone politico americano, è stato quasi subito costretto a ricredersi. I fatti delle ultime settimane, infatti, mostrano un G.O.P. pienamente schiacciato e fedele alle posizioni del tycoon, pronto a chiedere un cambio importante ai vertici della Camera.
Per spiegare la vicenda dobbiamo però tornare indietro di qualche mese, per arrivare al momento in cui il Congresso ha votato l’impeachment nei confronti di Trump. Nonostante subito dopo il 6 gennaio si siano sollevate diverse voci d’indignazione (la più pesante, probabilmente, quella di Mitch McConnel), quasi tutto il partito ha scelto di votare contro la mozione portata avanti dai democratici.
Solo pochi esponenti, fra cui l’House Republican Conference Chair (la terza carica del partito alla Camera) Liz Cheney, hanno scelto di condannare pubblicamente l’ex presidente, finendo al centro delle polemiche di eletti e base del partito. La stragrande maggioranza dei repubblicani, infatti, ha mostrato fedeltà a Donald Trump, e dalle sezioni locali sono arrivate mozioni di condanna nei confronti di quanti hanno votato la mozione d’impeachment.
La posizione di Liz Cheney (figlia dell’ex vice-presidente Dick Cheney) è particolarmente delicata, perché ricopre un ruolo di primissimo piano e perché è finita nel mirino di Donald Trump, che ha dato il suo sostegno Elise Stefanik come sua sostituta nel ruolo che ricopre.
Il partito, in questo momento, è estremamente diviso. Il leader alla Camera Kevin McCarthy, fedelissimo del presidente Donald Trump, ha spinto per la sua esautorazione, mentre altri esponenti, come la senatrice Joni Ernst hanno espresso dichiarazioni di sostegno, chiedendo unità nel partito.
La polemica verte tutta attorno alle continue accuse lanciate da Liz Cheney contro Donald Trump per quanto riguarda i fatti dello scorso 6 gennaio. Se si guardano le sue posizioni politiche, infatti, si può notare che siano addirittura più fedeli all’agenda del tycoon rispetto a quelle della stessa Stefanik, che spesso almeno verbalmente se ne è distaccata.
Liz Cheney, dal canto suo, ha affermato che il Partito Repubblicano si trova ad un punto si svolta nella sua storia, ed è chiamato a decidere “se vuole condividere la crociata di Trump per delegittimare i risultati delle elezioni 2020, con tutte le conseguenze che questo possa portare, o meno”. In un editoriale pubblicato sul Washington Post, ha poi proseguito: "Io sono una repubblicana conservatrice, ed il valore più conservatore di tutti è la riverenza verso la legge”.
La situazione non ha solo mostrato le divisioni interne al G.O.P., ma ha anche attirato l’attenzione del Partito Democratico e del presidente Joe Biden, che s’è detto preoccupato per la questione e per le profonde fratture che rischiano di minare la democrazia.
"Abbiamo assolutamente bisogno del Partito Repubblicano. Abbiamo un sistema a due partiti. Non è salutare avere solo un partito. Ed io penso che i repubblicani siano ancora più lontani dal decidere chi vogliono essere e cosa vogliano rappresentare rispetto a quanto pensavo che lo sarebbero stati a questo punto", ha infatti affermato di recente il presidente.
I democratici rischiano di avere un problema in vista delle midterm
I primi mesi di Joe Biden hanno visto il presidente impegnato in un’intensa attività legislativa: l’inquilino della Casa Bianca sta spingendo per approvare numerosi provvedimenti, segnando una svolta rispetto ai dogmi economici in vigore negli ultimi anni.
Le prossime elezioni di midterm, previste nel 2022, potrebbero però porre fine alle ambizioni presidenziali. Se attualmente i democratici appaiono in una buona posizione per mantenere il controllo del Senato, potrebbero però cedere ai repubblicani la maggioranza nella Camera dei Rappresentanti.
Il ramo più basso del Congresso, infatti, viene rinnovato interamente ogni due anni ed attualmente la maggioranza democratica è parecchio risicata (222-212), a seguito del risultato non proprio esaltante ottenuto nel 2020, in cui i repubblicani hanno vinto quasi tutti i seggi in bilico.
Guardando il dato storico, inoltre, si può notare come quasi sempre il partito presidenziale abbia perso seggi nelle elezioni midterm. A complicare la situazione c’è anche il redistricting: ogni dieci anni, infatti, il Census Bureau pubblica i dati sul censimento, che portano alla ridistribuzione del numero di seggi per ciascuno stato (ne abbiamo parlato nella newsletter della scorsa settimana).
In passato, questo ha portato al fenomeno del gerrymandering, ovvero il disegnare i collegi elettorali in modo da favorire il proprio partito e guadagnare maggiori seggi. Oggi il fenomeno assume una portata più limitata rispetto al passato, dato che molti stati hanno affidato questo processo a commissioni indipendenti per impedire che il tutto possa risolversi a vantaggio dell’uno o dell’altro partito.
Commissioni indipendenti gestiranno il processo in 167 seggi, 187 saranno sotto il controllo repubblicano e solo 75 sotto quello democratico. Difficile misurare quali saranno gli effetti sulla tornata elettorale, ma questo potrebbe rappresentare un ostacolo in più per Joe Biden ed il suo partito.
Un altro segnale negativo arriva dai primi democratici che hanno annunciato la mancata ricandidatura in vista del 2022. Quando questo avviene, generalmente, è un sintomo di una situazione che potrebbe essere complicata e portare il partito ad una cospicua perdita dei seggi.
Nonostante ci siano alcuni segnali negativi, una sconfitta è tutt’altro che scontata. La strategia democratica, infatti, punta tutto sulla ripresa economica generata dalle riaperture dovute alla campagna di vaccinazione ed agli ingenti interventi governativi per rilanciare il paese dopo la terribile crisi provocata dalla pandemia.
Delude il mercato del lavoro
Le notizie economiche di questa settimana non sono state particolarmente buone. Ad aprile infatti sono stati creati solo 266 mila nuovi posti di lavoro, un dato decisamente più basso delle attese degli analisi di 1 milione di nuovi posti di lavoro.
Anche il dato del mese precedente è stato rivisto nettamente al ribasso: da 916 mila nuovi posti di lavoro creati nel mese di marzo nel dato preliminare a 770 mila del dato rivisto.
Complessivamente ad oggi, gli Stati Uniti hanno ripreso il 63% dei posti di lavoro persi nel corso della pandemia. Per tornare alla situazione pre-pandemia mancano ancora 8,3 milioni di posti di lavoro.
La disoccupazione è di conseguenza salita di pochissimo al 6,1% (+0,1 rispetto a marzo), rispetto ad una previsione media del 5,8% da parte degli analisti.
Biden ha commentato dicendo che la strada per uscire dalla crisi è una lunga “maratona” e che gli Stati Uniti sono ben messi. “Non abbiamo mai ritenuto che tutto si sarebbe risolto dopo 50 o 60 giorni”, ha detto Biden. “Il dato di oggi è una ulteriore dimostrazione che ci stiamo muovendo sulla giusta strada, ma che c’è ancora molto da fare”.
Le altre notizie della settimana
In settimana Joe Biden dovrebbe vedere alcuni esponenti del Partito Repubblicano, autori di una controproposta sulle infrastrutture meno costosa rispetto a quella del presidente.
Potrebbe essere raggiunto un compromesso, con Biden pronto a dividere il pacchetto in due proposte separate: il primo, riguardante le infrastrutture fisiche, sarebbe approvato rapidamente con il supporto di entrambi i partiti, mentre il secondo passerebbe successivamente a maggioranza semplice.
La Camera del Texas ha approvato con 81 voti a favore e 64 contrari una nuova proposta di legge di riforma elettorale che impone maggiori restrizioni al voto via posta ed all'uso delle macchine elettorali elettroniche.
Il Dipartimento di Giustizia dell'Amministrazione Biden ha deciso di prendere i primi provvedimenti in materia di controllo della vendita di armi, imponendo nuove regole sulle cosiddette "armi fantasma", ovvero quelle senza numero seriale che possono essere costruite a partire da kit in vendita.
Un gruppo di esponenti bipartisan del Congresso sembra essere arrivato vicino ad un accordo preliminare su una nuova legge per la riforma delle pratiche di polizia. Lo ha reso noto per primo il The Wall Street Journal (WSJ).
L'accordo, secondo quanto riporta CNN, permetterà di impostare standard federali per i 'no-knock warrant', così come vietare l'uso dei 'chokehold' ad eccezione delle situazioni in cui è a rischio la vita degli agenti di polizia, ed imporre limiti sugli equipaggiamenti militari che potranno usare i dipartimenti statali e locali.
Prime dichiarazioni pubbliche di candidatura in Florida, dove i democratici proveranno a scalzare il governatore uscente Ron DeSantis. Ha annunciato ufficialmente la sua discesa in campo Charlie Christ, che già in passato ha ricoperto quel ruolo per il Partito Repubblicano prima di cambiare affiliazione e passare con i democratici.
Battaglia interna al Partito Democratico per l’abbassamento del limite d’età necessario per accedere al programma Medicare. La proposta di Sanders e Warren si scontra infatti con l’ostilità di Joe Manchin.
Prosegue il ban da Facebook dell’ex presidente Donald Trump. Il Comitato di Vigilanza ha chiesto alla piattaforma di rivedere la questione entro 6 mesi e prendere una decisione definitiva sulla possibile cancellazione definitiva del suo account.
Per questo motivo, il tycoon ha lanciato la sua nuova piattaforma, che assomiglia più ad un blog che ad un social network.
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