Joe Biden sta crescendo nei sondaggi
Nel numero di questa settimana parliamo dei sondaggi riguardanti Joe Biden e dei problemi interni al Partito Repubblicano
Domenica prossima, in occasione della Pasqua, la newsletter non sarà pubblicata. Il prossimo numero uscirà domenica 7 aprile
Joe Biden sta crescendo nei sondaggi
Da un paio d’anni i sondaggi riguardanti il presidente degli Stati Uniti Joe Biden sono quasi sempre negativi. Forse è presto per parlare di un cambio di rotta, ma è innegabile che nel corso dell’ultima settimana per l’inquilino della Casa Bianca siano arrivati diversi segnali incoraggianti.
Prima di parlare dei sondaggi, vanno fatte alcune precisazioni. Al momento le rilevazioni sono da prendere con le pinze, in primo luogo perché (come già raccontato la scorsa settimana), la storia recente dimostra come i dati presi a questo punto del percorso elettorale siano ancora instabili in virtù della forte indecisione da parte di una fetta importante di votanti. In secondo luogo, per questa specifica tornata, la poca soddisfazione nei confronti di entrambi i candidati sta portando a tassi di risposta ai sondaggisti più bassi del solito, fattore che rende ancor più complesso valutare correttamente i numeri.
In questa tornata, inoltre, alcuni eventi al momento imprevedibili potrebbero impattare notevolmente sulle scelte degli elettori. Come sottolinea il Washington Post, ad esempio, una eventuale condanna nei confronti di Donald Trump avrebbe sicuramente un peso notevole nell’orientare le scelte di voto, così come eventuali problemi di salute per Joe Biden rischierebbero di porre definitivamente fine alle sue speranze di vittoria. Nonostante questo, però, i sondaggi (anche se talvolta incompatibili fra loro) possono comunque aiutare per comprendere il sentimento generale, e nel corso delle ultime settimane alcune rilevazioni hanno mostrato piccoli segni interessanti.
Un primo aspetto positivo per Biden riguarda la fiducia che gli elettori ripongono nella crescita economica. Un esempio di questo può essere trovato in un sondaggio, condotto dall’American Research Group, in cui si chiede se gli Stati Uniti siano o meno in recessione. Lo scorso novembre la percentuale di quanti risposero affermativamente a questo quesito era del 47 per cento, mentre i “no” erano il 38. Adesso i dati sono ribaltati: le risposte negative sono il 50 per cento del totale, quelle affermative il 40.
Nel tracker portato avanti dall’Economist, inoltre, Joe Biden ha superato nuovamente Donald Trump nelle preferenze di voto, cosa che non avveniva ormai da diverse settimane. Sono diversi, inoltre, i sondaggi che iniziano a guardare in maniera maggiormente favorevole al presidente in carica. Rispetto alle rilevazioni condotte fra gennaio e febbraio, infatti, Emerson College è passato da un vantaggio di un punto in favore di Trump a uno di due punti per l’inquilino della Casa Bianca.
Un simile slittamento di margine si trova anche in altre rilevazioni: Ipsos, ad esempio, è passato da una situazione di parità a un vantaggio di un paio di punti per Biden, mentre per The Hill (in un sondaggio svolto da Public Policy Polling, che tende verso sinistra) il presidente in carica è avanti di un punto. Anche i tassi di approvazione per l’inquilino della Casa Bianca sono leggermente in risalita, ma le variazioni sono ancora molto lievi ed è presto per dire se si tratti di un cambiamento significativo o meno.
Non tutti i numeri, però, sono rosei per Biden (che sta sicuramente beneficiando dell’ottima performance nel discorso sullo Stato dell’Unione): sebbene i numeri siano in crescita, Donald Trump resta avanti in diverse rilevazioni. Un sondaggio della CNN, ad esempio, mentre mostra una situazione di parità in Pennsylvania, vede il tycoon avanti di ben cinque punti in Michigan, un altro degli territori decisivi per la vittoria finale. Dati difficili da interpretare (considerando che nel passato recente il primo dei due stati è sempre stato leggermente più a destra), ma che si possono almeno parzialmente interpretare con le difficoltà che Biden sta avendo nell’elettorato arabo dello stesso Michigan, molto critico nei confronti dell’appoggio a Israele.
Una deputata Repubblicana vuole estromettere lo Speaker Johnson
Più volte, nel corso dell’ultimo biennio, abbiamo parlato delle difficoltà incontrate dal Partito Repubblicano alla Camera dei Rappresentanti nell’effettuare una mediazione fra l’ala più conservatrice e quella moderata. Tali frizioni si erano manifestate sia al momento dell’elezione dello Speaker (servirono diversi scrutini per trovare una maggioranza in favore di Kevin McCarthy), sia quando la minoranza interna decise di estromettere quest’ultimo dal suo ruolo per sostituirlo con Mike Johnson.
Il problema è principalmente politico. Vista la maggioranza di pochissimi seggi a favore del GOP, lo Speaker della Camera ha due sole possibilità: compattare tutto il partito dietro di sé oppure richiedere l’aiuto dei membri del Partito Democratico. Quest’ultima soluzione è essenziale per alcune misure, come quelle relative ai finanziamenti del governo federale utili ad evitare lo shutdown, visto che la minoranza Repubblicana ha sempre avuto un atteggiamento oltranzista contrario a qualsiasi compromesso.
Proprio la volontà di effettuare una mediazione con i Democratici, del resto, portò ad una estromissione dell’ex leader Kevin McCarthy dal suo ruolo. Le tensioni sorte questa settimana nascono per un motivo simile: lo Speaker della Camera ha trovato un accordo con i Democratici per un finanziamento da 1.2 trillioni di dollari utili a finanziare il governo federale. Tale misura, che garantirà l’operatività del governo federale fino al prossimo mese di settembre, è stata approvata in settimana e firmata da Biden venerdì. In risposta, la deputata Marjorie Taylor Greene ha presentato una mozione per rimuoverlo dal suo ruolo.
La stessa deputata ha affermato: “Non voglio gettare la Camera nel caos. Ma questo è essenzialmente un avvertimento, è giunto il momento di seguire i processi e trovare un nuovo Speaker della Camera che si schieri con i Repubblicani invece di stare con i Democratici”. La mozione sarà discussa fra circa due settimane, quando i deputati torneranno al lavoro dopo le pause pasquali, ma al momento non è chiaro se Marjorie Taylor Greene avrà abbastanza supporto dagli altri membri del suo stesso Partito per arrivare all’estromissione.
A differenza del passato, però, questa volta lo Speaker potrebbe contare anche sull’aiuto del Partito Democratico. Diversi membri hanno infatti assicurato che non voteranno per la sua rimozione finché Johnson continuerà a collaborare con il presidente Biden su temi delicati come i finanziamenti per il governo federale e per l’Ucraina.
Le altre notizie della settimana
Il deputato del Partito Repubblicano Mike Gallagher ha annunciato che presto lascerà il suo seggio alla Camera dei Rappresentanti. Si tratta di un problema non di poco conto per il GOP, che vedrà ulteriormente ridursi la già esigua maggioranza di cui attualmente dispone.
Dopo le dimissioni di Gallagher, i Repubblicani avranno infatti solamente un voto di margine rispetto al Partito Democratico.
Al termine di un incontro tenuto a Il Cairo su un possibile cessate il fuoco nel conflitto fra Israele e Hamas, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che una invasione del territorio di Rafah da parte del paese guidato da Benjamin Netanyahu sarebbe un errore.
Blinken ha detto che gli Stati Uniti sostengono la necessità di "un immediato e duraturo cessate il fuoco con il rilascio degli ostaggi che creerebbe spazio per intensificare gli sforzi di assistenza umanitaria, al fine di alleviare le sofferenze di molte persone e costruire qualcosa di più duraturo". Lo stesso Netanyahu ha però affermato che Israele andrà avanti con l’invasione, “con o senza il sostegno americano”.
Il Presidente Joe Biden ha annunciato giovedì la cancellazione di quasi sei miliardi di dollari di debiti studenteschi federali per migliaia di lavoratori del servizio pubblico. I dipendenti ammissibili per tale misura, secondo la Casa Bianca, saranno circa 78.000 e comprendono insegnanti, infermieri e vigili del fuoco.
Biden ha potuto farlo grazie ai programmi del Public Service Loan Forgiveness, che consente a chi è idoneo di vedersi condonare il debito residuo se ha effettuato un certo numero di pagamenti e lavora per determinati datori di lavoro.
In settimana sono stati pubblicati i nuovi dati della Commissione elettorale federale che mostrano come la campagna Biden abbia ricevuto in donazioni 21 milioni di dollari. Con questi, a fine febbraio la sua disponibilità per organizzare le attività in vista del prossimo novembre era di 97,5 milioni di dollari.
La campagna Trump e il Comitato nazionale repubblicano invece dispongono di soli 44,8 milioni di dollari. Oltre a ricevere meno donazioni, Trump sta spendendo moltissimo, 5.5 milioni solo a febbraio, in spese legali per affrontare i vari processi.
Donald Trump sta faticando molto per trovare i fondi per pagare il risarcimento da 464 milioni di dollari in un caso di frode a New York che è oggetto di appello. L’ex presidente ha contattato più di trenta compagnie assicurative, ma al momento non sembra essere stato in grado di trovare i soldi necessari.
Gli avvocati di Trump affermano che non può mettere in pegno proprietà come parte della cauzione a causa dell'importo massiccio.