Chi è il favorito nelle elezioni americane?
Nel nostro approfondimento settimanale abbiamo approfondito, in modo dettagliato, la situazione elettorale in tutti gli stati in bilico per capire se c'è un favorito nelle elezioni presidenziali
Alle prossime elezioni presidenziali manca meno di un mese. Fra comizi, sondaggi e frequenti apparizioni di personaggi famosi al fianco dell’uno o dell’altro candidato, la campagna è ormai entrata nel vivo. Mai come ora, però, vige una situazione di incertezza. Per provare a fotografare il momento, cerchiamo di analizzare stato per stato l’andamento nei sondaggi in quelli che saranno i luoghi chiave per la vittoria finale.
Midwest: chi è davanti?
Nei sondaggi nazionali è Kamala Harris ad essere davanti. Questo però vuol dire poco, visto che non è chiaro quale dovrà essere il margine con cui i Dem dovranno chiudere in testa per assicurarsi la vittoria nel collegio elettorale. L’attenzione, dunque, dovrà essere rivolta agli swing states. Nello specifico, partiremo per due motivi dal Midwest. Anzitutto, per Kamala Harris vincere Pennsylvania, Michigan e Wisconsin rappresenta la via più facile per conquistare le presidenziali, viste le difficoltà maggiori in altre aree. In secondo luogo, i sondaggi qui mostrano una situazione di assoluto equilibrio, dove ogni minima variazione potrebbe risultare decisiva.
Qual è, quindi, la situazione in ciascuno di questi stati?
Pennsylvania
Il primo stato da cui partire non può che essere quello che, probabilmente, deciderà le prossime elezioni. Quasi certamente, infatti, chi vincerà in Pennsylvania andrà alla Casa Bianca, ragion per cui entrambi i candidati stanno investendo tempo e risorse economiche in questo territorio. Non è un caso, del resto, che Kamala Harris abbia deciso di recarsi a Pittsburgh per presentare la sua proposta economica e a Philadelphia per annunciare Tim Walz come candidato vicepresidente. Al tempo stesso, Donald Trump ha effettuato più comizi in questo territorio che in qualsiasi altro nel paese.
Molto più che in altre zone degli Stati Uniti, qui i sondaggi sono in equilibrio e la situazione di parità è quasi assoluta. Il margine massimo di vantaggio che ha avuto Kamala Harris sul suo sfidante, nella media di FiveThirtyEight, è stato di appena 1,4 punti percentuali, che adesso si è ulteriormente ridotto a 0,4. Nel 2020, qui fu Biden a vincere con il 50,01% (contro il 48,84 del suo rivale), mentre alle midterm i Dem sono andati leggermente meglio eleggendo John Fetterman come senatore con il 51,25%.
La Pennsylvania è così importante perché, come ha affermato il NyTimes, rappresenta un microcosmo degli Stati Uniti. Ci sono centri urbani come Philadelphia, con un'ampia popolazione nera che i Democratici devono mobilitare, periferie in rapida crescita, istruite e prevalentemente bianche, dove i Repubblicani hanno perso sostegno negli anni di Trump. Al tempo stesso sono presenti aree industriali in difficoltà, nelle quali il tycoon deve massimizzare il voto, e piccole città con una popolazione latinoamericana in aumento, in cui i Dem puntano a fare progressi. Infine, c'è una popolazione rurale significativa, sebbene in diminuzione, con bianchi senza laurea che costituiscono la base del GOP e rappresentano circa metà dell'elettorato.
Particolare attenzione, nel capire chi potrà vincere, dovrà essere rivolta alle registrazioni di voto. Per potersi recare alle urne, in quasi tutti gli Stati Uniti, bisogna essere infatti presenti nelle liste, nella quale ci si iscrive come Democratici, Repubblicani o Indipendenti (anche se poi, chiaramente, non si è vincolati a votare quel partito). In Pennsylvania, i Dem hanno storicamente avuto un ampio vantaggio numerico, ma questo ha iniziato a ridursi dopo l'era Obama. Nel 2016 il margine fu di quasi 700.000 elettori registrati, ma oggi si è dimezzato a circa 300.000.
Questo declino è dovuto principalmente al passaggio di molti "ancestral democrats" (elettori anziani registrati in passato con i Dem, che ormai votano GOP spesso senza aver cambiato affiliazione) verso il Partito Repubblicano. Anche tra i nuovi elettori, Donald Trump sta attirando più persone rispetto a Kamala Harris. L’85% della popolazione presente nelle liste, in ogni caso, è registrata come Democratico o Repubblicano, mentre solo il 15% si identifica come Indipendente.
Wisconsin
Oltre alla Pennsylvania, gli altri due stati del Midwest che Kamala Harris deve necessariamente vincere sono il Wisconsin e il Michigan. Il primo dei due, un po’ a sorpresa, nei sondaggi è leggermente più a sinistra della Pennsylvania, in controtendenza con i dati storici del recente passato. Nella media di FiveThirtyEight, infatti, Kamala Harris è in vantaggio di circa 1,5 punti (contro gli 0,6 di Joe Biden nel 2020), un margine che si mantiene costante di fatto dal momento in cui l’attuale vice-presidente è scesa in campo. Sebbene i sondaggi possano sbagliare, si tratta comunque di un dato significativo, visto che quasi tutte le rilevazioni sono coerenti fra loro e presentano margini spesso simili (anche se non sempre totalmente sovrapponibili), elemento che dovrebbe rappresentare un fattore di accuratezza.
In Wisconsin, le città di Milwaukee e Madison, con una grande comunità afroamericana, sono una fonte importante di voti per i Democratici. I Repubblicani hanno mantenuto la loro forza nei sobborghi di Milwaukee, specialmente nelle contee WOW (Waukesha, Ozaukee, Washington) e in quella di Kenosha, anche se negli ultimi anni il supporto in queste aree è diminuito, con un trend favorevole ai Democratici. Il successo del GOP dipenderà proprio dalla loro capacità di mantenere il sostegno proprio in questi territori. Il resto dello stato, prevalentemente rurale e agricolo, si è spostato a destra nel tempo. Non è richiesta l'affiliazione partitica al momento della registrazione al voto.
Michigan
Dei tre stati presenti nel Midwest, il Michigan è sulla carta quello più favorevole a Kamala Harris. Qui Donald Trump ebbe la meglio nel 2016, ma il margine con cui Biden ha vinto nel 2020 è stato di quasi tre punti. Attualmente, però, i sondaggi lo vedono leggermente a destra del Wisconsin (il cui dato, come è giusto ripetere, per quanto coerente è un po’ anomalo rispetto al recente passato e va preso con le pinze). Nella media di FiveThirtyEight la candidata Dem è avanti di circa 1,5 punti, anche se ad esempio nel mese di settembre sono uscite due rilevazioni di New York Times/Siena College (sulla carta uno degli istituti più affidabili), in cui Trump era avanti. Proprio per questo è difficile sbilanciarsi, dato che, come sottolineato anche per gli altri stati del Midwest (del quale cerchiamo qui di fare una sintesi), dovesse dipendere dai sondaggi attuali Kamala Harris sarebbe favorita, ma i distacchi sono molto risicati e tutti all’interno del margine d’errore.
Anche in Michigan non esiste la registrazione al voto per partito: non abbiamo quindi una indicazione su come si sta muovendo lo stato. Come i suoi due vicini, ha un grosso centro a maggioranza afroamericana (Detroit) che consegna ai Denm una grande quantità di voti, in parte attutita dal resto dello stato, più rurale e più vicino ai Repubblicani. Da notare anche la presenza di una folta comunità araba: la città di Dearborn, per esempio, ospita la più grande colonia musulmana di tutti gli Stati Uniti. Lo stato è in forte espansione e rispetto al Wisconsin è più industrializzato, basti pensare che qui hanno sede tre colossi dell’industria automobilistica: General Motors, Ford e Stellantis.
Il punto finale sul Midwest
Un fattore per certi versi strano è legato al fatto che il Midwest non sembra risentire dello spostamento a destra del paese. Se in quasi tutti gli stati, rispetto al 2020, i sondaggi vedono uno scivolamento apparente verso il GOP, qui i dati rimangono granitici. Fattore che potrebbe essere spiegato con la particolare composizione elettorale di questa regione, in cui l’equilibrio fra le varie anime dell’elettorato rende difficile spostamenti significativi, ma che comunque aggiunge incertezza al quadro.
Gli altri stati decisivi
Come sottolineato, il Midwest rappresenta un’area che Kamala Harris dovrà necessariamente vincere. Anche altri stati, però, sono ancora in bilico. In uno di questi, il Nevada, è la candidata Dem a essere leggermente avanti, mentre negli altri c’è Donald Trump in vantaggio.
Georgia
La Georgia nel 2020 è stata decisiva nella vittoria di Biden. Dal 1984 al 2016 questo stato aveva votato sempre per il Partito Repubblicano, ad eccezione della tornata del 1992, ma nelle ultime elezioni sono stati i Dem ad avere la meglio. Questo dato rispecchia uno spostamento a sinistra che va avanti da tempo: Barack Obama, ad esempio, ottenne il 47% dei voti, un significativo miglioramento rispetto al 41% di John Kerry nel 2004. Questa crescita è stata capitalizzata fra il 2018 e il 2022, con una serie di vittorie da parte dei Democratici.
A spiegare questo cambiamento è stato l'aumento del sostegno Democratico nell'area metropolitana di Atlanta, che ha virato fortemente verso sinistra durante l'era Trump. Tradizionalmente, la città di Atlanta era dominata dai Dem, ma le aree suburbane erano un feudo Repubblicano. Tuttavia, a partire dal 2016, Hillary Clinton ha vinto 8 delle 10 contee della Commissione Regionale di Atlanta, un trend che Stacey Abrams ha ampliato nel voto per il governatore del 2018 e che Biden ha ulteriormente migliorato nel 2020. Quest’anno, però, la situazione si è fatta molto più incerta ed è il Partito Repubblicano ad essere leggermente avanti nei sondaggi.
La media di FiveThirtyEight vede il tycoon con un lieve margine (inferiore a un punto) sulla sua sfidante, ma nel complesso quasi tutti i sondaggi danno i Repubblicani avanti. C’è da dire, in ogni caso, che il divario è variato molto nel corso degli undici mesi: quando Biden è uscito dalla corsa, il candidato del GOP era in vantaggio di sette punti, poi ribaltati dalla sfidante che dopo la Convention Dem era passata in testa. Nelle settimane successive il tycoon era tornato a guadagnare, mentre ora la distanza è tornata minima.
Anche in Georgia non esiste la registrazione al voto per partito. Nonostante ciò, è uno stato talmente polarizzato dal punto di vista etnico che di norma agli analisti basta controllare il numero di elettori afroamericani che si registra o che si reca al voto per capire chi stia guadagnando terreno. Questo segmento di popolazione, infatti, rappresenta circa 1/3 del totale dello stato, e vota per i Democratici con percentuali bulgare (oltre l’80%): per una vittoria di Kamala Harris, dunque, è necessario che buona parte di questo elettorato si rechi alle urne. Più la popolazione nera pesa sul totale, più i democratici hanno chance di vincere, e la quota spartiacque è di solito il 30% del totale.
Negli ultimi due anni, comunque, le grosse contee della metropoli di Atlanta sono state quelle che hanno registrato le maggiori perdite dal punto di vista degli elettori registrati complessivi, mentre le contee rurali hanno registrato le maggiori crescite: un buon segno per il GOP.
North Carolina
Un altro swing state da guardare con particolare attenzione è la North Carolina. Qui, negli ultimi decenni, ha vinto sempre il Partito Repubblicano, ad eccezione del 2008, ma mai come in questa tornata la contesa appare in bilico. I sondaggi, infatti, danno Donald Trump avanti con un margine davvero minimo (0,8 punti). A rendere più incerta la gara può essere la presenza di un candidato alla carica di governatore che potrebbe sfavorire il Partito Repubblicano. Il GOP schiera infatti una figura estremamente impopolare, coinvolta in alcuni scandali: Robinson è stato infatti accusato di aver pubblicato tra il 2008 e il 2012, utilizzando uno pseudonimo, messaggi scioccanti e controversi su un forum online. Tra le dichiarazioni attribuitegli, alcune difendevano la schiavitù e altre lo vedevano autodefinirsi un "nazista nero".
Dal punto di vista demografico, anche la North Carolina ha una forte componente afroamericana, che i Democratici necessitano di mobilitare, ed è anch’essa uno stato in forte espansione, grazie all’attrazione di molti giovani che vanno a studiare nelle università o che trovano lavoro nel settore dell’Hi-Tech. Questo fattore ha comportato una enorme crescita degli elettori registrati come Indipendenti, che sono passati dai 2.5 milioni del 2020 ai 3 milioni di quest’anno, rappresentando ora la netta maggioranza dell’elettorato dello stato. Questa prima posizione è stata rubata al Partito Democratico, che storicamente ha sempre avuto la maggioranza nelle registrazioni al voto, accresciuta durante la presidenza Obama. Come in Pennsylvania, però, negli ultimi anni si sta assistendo a una fuga verso i Repubblicani di molti elettori “ancestral dems”, persone che nel secolo scorso votavano verso sinistra ma che ora si sono spostate su posizioni nettamente più conservatrici.
Arizona
Fra gli swing states, questo è sicuramente quello maggiormente favorevole a Donald Trump. Il tycoon ha circa un punto e mezzo di vantaggio sulla sua sfidante, che nel tempo si sta cristallizzando. Si tratta di un dato che invertirebbe un trend di spostamento verso sinistra dell’Arizona che va avanti ormai da diversi anni. Come rivela un sondaggio pubblicato proprio ieri, la grande forza del candidato Repubblicano resta l’economia, visto che il 56% degli abitanti di questo stato ha affermato di preferirlo rispetto alla sua sfidante sul tema.
Altri due aspetti essenziali, qui, sono l’aborto e l’immigrazione: il primo favorisce Harris, il secondo Trump. Oltre alle presidenziali, infatti, in Arizona gli elettori voteranno su una proposta di emendamento costituzionale, la Proposition 139, per proteggere il diritto all’interruzione di gravidanza. Sulle schede, inoltre, ci sarà anche un’altra norma che mira a trasformare le violazioni delle leggi sull'immigrazione in crimini statali, non più solo federali.
In Arizona, rispetto agli altri swing states fin qui analizzati, non c’è una grande presenza afroamericana. La minoranza più numerosa è quella ispanica, che rappresenta quasi 1/3 dell’elettorato dello stato ed è il segmento in cui Trump ha dimostrato di essere più competitivo negli ultimi anni. Il fulcro dello stato è la contea di Maricopa, sede di Phoenix, che rappresenta il 60% della popolazione statale e che è sempre stata storicamente la più grande metropoli Repubblicana d’America, salvo avere uno spostamento a sinistra negli ultimi anni: Biden è stato il primo democratico a vincere dai tempi di Truman nel 1948.
Per confermare i sondaggi e vincere lo stato il tycoon, oltre a confermare la tendenza favorevole tra gli ispanici, dovrà recuperare terreno nei benestanti e popolosi suburbs di Phoenix. Negli ultimi 4 anni il numero complessivo di elettori registrati è diminuito, in larga parte a causa del crollo dei Democratici, che sono passati da 1.400.000 registrazioni a 1.200.000. I repubblicani e gli indipendenti si contendono la prima posizione con 1.500.000 registrazioni a testa.
Nevada
Qui ad essere leggermente favorita è Kamala Harris anche se, come avvenuto già per il Midwest, il margine di vantaggio è sceso di poco rispetto al recente passato. La candidata dei Democratici conduce con appena 0,5 punti. Fra tutti gli stati presentati fin qui, è quello che porta meno voti per il Collegio Elettorale, ma la sua importanza è comunque notevole. A giocare a sfavore della vicepresidente ci sono soprattutto i dati economici: il Nevada ha uno dei tassi di disoccupazione più alti del paese, con il 5,4% a livello statale e il 6,7% nell'area di Las Vegas, rispetto alla media nazionale del 4,2%. Molti residenti dipendono dalle mance per vivere, e l'aumento del costo della vita, particolarmente dopo la pandemia, ha aggravato la situazione.
In Nevada, gli elettori ispanici, che rappresentano quasi il 30% della popolazione, sono cruciali. La contea di Clark, che include Las Vegas e rappresenta il 75% della popolazione, si è spostata gradualmente a destra, riducendo il vantaggio democratico negli ultimi anni. Insieme alla contea di Washoe (Reno), le aree urbane coprono il 90% dello stato, mentre le zone rurali, fortemente repubblicane, bilanciano il vantaggio democratico di Las Vegas. Negli ultimi 4 anni, i Democratici hanno perso circa 100.000 registrazioni al voto, riducendo il loro margine sui Repubblicani. Gli elettori indipendenti sono cresciuti notevolmente, diventando la maggioranza con 807.000 registrati.
In sintesi, c’è davvero un favorito?
Rispondere a questa domanda è davvero difficile, e in questo momento della campagna elettorale è complesso sbilanciarsi, visto che i sondaggi indicano una situazione di equilibrio quasi assoluto. Stando alle rilevazioni, forse è leggermente avanti Kamala Harris, visto il suo vantaggio nel Midwest che, di fatto, pur con qualche oscillazione si mantiene costante da inizio settimana.
L’elettorato del Partito Repubblicano, però, sta mostrando un buon andamento nelle registrazioni di voto e, a differenza di quattro anni fa, sta ricorrendo in maniera abbastanza massiccia al voto postale. Questo fattore, unito al margine risicato di vantaggio per Kamala Harris nel Midwest (tutte le rilevazioni sono pienamente all’interno del margine di errori) rendono la partita assolutamente equilibrata. Fino al giorno dell’Election Day, dunque, sarà difficile sbilanciarsi sul serio.
Le altre notizie della settimana
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Nel suo discorso, l'ex presidente si è concentrato sui valori in gioco in queste elezioni, dipingendo Trump come un leader interessato solo a se stesso e alla propria immagine. Obama ha criticato la retorica divisiva del suo successore, dicendo: "Donald Trump vuole farci credere che questo paese sia disperatamente diviso tra 'noi' e 'loro', tra i 'veri americani' che lo sostengono e quelli che non lo fanno. Pensa che avere le persone divise e arrabbiate aumenti le sue possibilità di essere eletto".
L'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato un piano per rilanciare l'industria automobilistica americana durante un discorso al Detroit Economic Club. La proposta, che mira a contrastare l'influenza del Partito Democratico sui lavoratori sindacalizzati e sulla classe operaia, include diverse misure economiche e commerciali.
Tra i punti principali del piano di Trump figurano nuove restrizioni sui veicoli autonomi cinesi, regole commerciali più severe con Messico e Canada, dazi significativamente più alti sulle auto importate e una nuova deduzione fiscale per gli interessi sui prestiti fatti per acquistare un'auto.
Il giornalista Bob Woodward, noto per le sue inchieste sul caso Watergate, sta per pubblicare un nuovo libro intitolato "War" che contiene rivelazioni sui rapporti tra Donald Trump e Vladimir Putin. Secondo quanto riportato da diversi media, il libro afferma che i due leader avrebbero avuto circa sei conversazioni telefoniche dopo che Trump ha lasciato la Casa Bianca nel gennaio 2021.
Queste presunte comunicazioni avrebbero avuto luogo anche dopo l'invasione russa dell'Ucraina nel febbraio 2022. Un assistente anonimo di Trump a Mar-a-Lago avrebbe fornito questa informazione a Woodward. L'ultima chiamata tra i due sarebbe avvenuta all'inizio del 2024, quando un assistente sarebbe stato allontanato dall'ufficio di Trump mentre questi si accingeva a parlare con Putin.
Nella giornata di oggi il presidente Biden visiterà la Florida per valutare i danni causati dall'uragano Milton, che ha lasciato almeno 16 morti e milioni di persone senza elettricità. Non è ancora chiaro se incontrerà il governatore Ron DeSantis, del quale (nonostante la distanza politica) ha elogiato la gestione dell’emergenza.