Ma quindi, Biden si ritira?
Il presidente potrebbe davvero ritirarsi dalla corsa presidenziale? Nel nostro approfondimento settimanale analizziamo la situazione
Ma quindi, Biden si ritira?
Il dibattito fra Donald Trump e Joe Biden avvenuto la scorsa settimana potrebbe essere ricordato come un momento spartiacque in questa campagna elettorale. La pessima performance del presidente in carica, infatti, ha fatto aumentare il pressing politico all’interno del Partito Democratico nel chiedere all’inquilino della Casa Bianca un passo indietro. Sono infatti diversi gli esponenti che in queste ore stanno uscendo pubblicamente con dichiarazioni a favore di un cambio alla guida del ticket presidenziale.
La Rappresentante del Minnesota Angie Craig, ad esempio, ha esortato Biden a farsi da parte, affermando di non credere “che il presidente possa efficacemente competere e vincere contro Donald Trump.” Anche Mark LaChey, ex Vice Presidente del Partito Democratico del Michigan, ha incoraggiato il ritiro, sottolineando un crescente disinteresse per la sua candidatura: “Sarebbe positivo se si rendesse conto che nessuno è insostituibile. Molte persone sarebbero molto entusiaste di vedere qualcun altro correre per la presidenza”.
Anche alcuni ex funzionari dell'amministrazione Obama, parlando in privato con la stampa, hanno descritto la posizione di Biden come “insostenibile”, esprimendo dubbi sulla possibilità da parte del presidente di poter sostenere in maniera vigorosa la campagna elettorale. Nel complesso, come evidenzia il tracker del New York Times, sono dieci gli esponenti Dem eletti a vari livelli che hanno chiesto un passo indietro, fra cui cinque deputati in carica (oltre alla già citata Angie Craig ci sono Lloyd Dogget, Mike Quigley, Seth Moulton e Raúl M. Grijalva). Altri ventuno membri del Partito, pur non arrivando espressamente alla richiesta di ritiro, hanno comunque espresso preoccupazioni sulle condizioni del presidente.
Non sono mancate, però, dichiarazioni a favore di Biden, arrivate però soprattutto nelle prime ore dopo il dibattito e meno negli ultimi giorni. Fra queste, figurano quelle di alcuni esponenti considerati fra i papabili sostituti qualora l’attuale inquilino della Casa Bianca dovesse optare per un passo indietro: lo scorso 3 luglio, ad esempio, il governatore della California Gavin Newsom ha affermato che “Joe Biden ci ha coperto le spalle, ora è il momento di coprire le sue”. In questo contesto, sono importanti le dichiarazioni dello stesso presidente, che ha sempre manifestato in maniera energica la sua volontà di non fare passi indietro.
Le dichiarazioni a sostegno di Biden da parte di alcuni esponenti, però, non hanno fermato il rumor interno, soprattutto fra i grandi finanziatori della campagna presidenziale Dem. Gideon Stein, che ha momentaneamente trattenuto 3,5 milioni di dollari dai versamenti già pianificati, ha dichiarato che quasi tutti i maggiori donatori con cui ha parlato credono che sia meglio un candidato diverso per poter sconfiggere Donald Trump. Anche Abigail E. Disney ha affermato di non voler dare più soldi alla campagna di Biden finché non verrà sostituito, sottolineando che “Biden è un brav’uomo che ha servito bene il suo paese, ma la posta in gioco è troppo alta per permettere che la timidezza determini la nostra azione.” Mike Novogratz e Andrew Jarecki, invece, hanno espresso l’intenzione di creare un fondo per sostenere un eventuale sostituto di Biden, con proventi che verranno dirottati verso altri esponenti democratici qualora l’attuale presidente dovesse restare in corsa.
Biden, dal canto suo, sembra essere pronto a dare battaglia e a dimostrare di poter restare in corsa. In un post sul proprio profilo X, Biden ha infatti affermato: “Non permetterò che un dibattito di 90 minuti cancelli tre anni e mezzo di lavoro. Rimango in corsa e batterò Donald Trump”. Pochi giorni prima, il presidente aveva espresso un concetto bene o male simile, sostenendo: “Lasciatemelo dire nel modo più chiaro possibile: Sono il presidente in carica degli Stati Uniti. Sono il candidato del Partito Democratico. Rimango in gara”. In settimana, inoltre, lo stesso Biden ha tenuto una intervista rilasciata a George Stephanopoulos di ABC News, che se da un lato non ha visto nessun grave errore simile a quelli avvenuti durante il dibattito, dall’altro non ha permesso al presidente di offrire una prova talmente solida da poter mettere a tacere tutte le voci sul suo futuro.
Come sottolinea The Hill, il presidente ha avuto alcuni momenti di forza, come quando ha definito Trump un "bugiardo congenito" e ha delineato alcune priorità per un secondo mandato, tra cui l'espansione dell'assistenza sanitaria. Tuttavia, ha faticato a spiegare la sua scarsa performance nel dibattito, attribuendo la colpa alla stanchezza, alla malattia, ai dettagli e alla distrazione causata da Trump, tutte spiegazioni apparse come poco convincenti. Un altro punto critico è stato quello relativo all'evasività di Biden quando Stephanopoulos gli ha chiesto se si sarebbe sottoposto a una valutazione medica indipendente delle sue capacità cognitive. La risposta del presidente è stata, di fatto, un "no", che non aiuterà a calmare le preoccupazioni degli elettori e dei membri del partito.
Cosa dicono i sondaggi?
Nei giorni successivi al dibattito sono usciti diversi sondaggi che possono essere utili per capire l’andamento dell’opinione pubblica. Per una rilevazione di New York Times/Siena College, il margine si è aperto rispetto ai tre punti di vantaggio a favore di Trump relativi a qualche settimana fa: il risultato, ora, sarebbe di 49% a 43% in favore del tycoon. Data for Progress, ovvero uno dei pochi sondaggisti che nei giorni precedenti al dibattito dava avanti Joe Biden, ora vede Trump avanti con un lieve margine, mentre CBS News/You Gov ha visto il candidato del Partito Repubblicano crescere di un punto.
Il dibattito ha fatto crescere quelli che sono i dubbi sull’età di Biden. Il 74% degli elettori, infatti, lo considera troppo vecchio per ricoprire il ruolo di presidente, con un aumento di cinque punti percentuali rispetto alle scorse settimane. Le preoccupazioni sull'età di Biden sono aumentate dell'8% tra i Democratici, raggiungendo il 59%. La percentuale di elettori indipendenti che condividono questa preoccupazione è salita al 79%, quasi eguagliando il punto di vista dei repubblicani sul presidente.
Sempre il già citato sondaggio di New York Times/Siena College evidenzia come Trump abbia guadagnato terreno tra gli elettori maschi, passando da un vantaggio di 12 punti pre-dibattito a 23 punti post-dibattito. Al contrario, il margine di Biden tra le donne elettori è aumentato leggermente, da cinque a otto punti. Tra coloro che hanno seguito il dibattito, il 60% ritiene che Trump abbia fatto meglio, contro il 22% che preferisce Biden. Solo il 16% degli elettori pensa che Biden abbia avuto una buona performance.
Sono inoltre aumentate le probabilità di vittoria per Donald Trump nei vari modelli predittivi. Quello dall'Economist conferisce a Trump il 74% di probabilità di vittoria con 310 grandi elettori. Quello di Nate Silver gli attribuisce il 69% di probabilità e 295 voti elettorali, mentre Decision Desk HQ prevede il 49% e 286 grandi elettori. Il modello di FiveThirtyEight è il più possibilista con il presidente e dà a Trump una probabilità del 51% e 271 grandi elettori.
Le altre notizie della settimana:
Nella giornata di lunedì la Corte Suprema ha stabilito che i poteri fondamentali presidenziali sono immuni da procedimenti penali, consegnando una vittoria significativa all'ex presidente Trump in un anno elettorale con enormi conseguenze legali e politiche. La sentenza concede ai presidenti piena immunità sui poteri presidenziali fondamentali e una presunzione di immunità per altri atti ufficiali, con i tribunali che determineranno caso per caso se tali atti rientrano tra i poteri fondamentali. Non c'è immunità per gli atti non ufficiali.
Sempre a riguardo delle inchieste riguardanti il tycoon, il giudice Juan Merchan ha deciso di rinviare al 18 settembre la sentenza nei confronti di Donald Trump per il caso dei pagamenti in nero, accogliendo la richiesta degli avvocati dell'ex presidente di valutare se la recente sentenza della Corte Suprema sull'immunità presidenziale possa influire sulla sua condanna a New York.
La sentenza, originariamente prevista per l'11 luglio, è stata posticipata di oltre due mesi, avvicinandosi pericolosamente alle elezioni presidenziali del 5 novembre. Questo rinvio rappresenta una vittoria per Trump, la cui strategia legale si è sempre basata sul ritardare l’indagine, ma potrebbe anche ricordare agli elettori il suo status di condannato in un momento cruciale della campagna elettorale.
Negli Stati Uniti il fenomeno degli omicidi mostra segnali contrastanti. Secondo i dati più recenti dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC), riportati da USA Facts, il tasso di omicidi nel paese ha registrato un calo del 6,1% tra il 2021 e il 2022, scendendo da 8,2 a 7,7 morti per 100.000 abitanti. Tuttavia, nonostante questa recente diminuzione, i tassi degli ultimi tre anni rimangono i più alti del XXI secolo, anche se ancora inferiori ai picchi raggiunti tra gli anni '80 e i primi '90.
Le disparità tra gli stati sono marcate. Nel 2022, il Mississippi ha guidato la triste classifica con 20,7 morti per 100.000 abitanti, un tasso oltre 11 volte superiore a quello del New Hampshire, lo stato più sicuro con appena 1,8 omicidi per 100.000 persone. Seguono il Mississippi nella top 5 degli stati più pericolosi: Louisiana, Alabama, New Mexico e Missouri. All'opposto, oltre al New Hampshire, troviamo Rhode Island, Utah, Massachusetts e Maine tra gli stati più sicuri.
L'ex presidente Trump ha preso le distanze dal controverso "programma di governo" di 900 pagine della Heritage Foundation, noto come "Project 2025", rivolto ai Repubblicani. Su TruthSocial, Trump ha dichiarato di non sapere nulla del progetto, criticando alcune delle sue proposte come ridicole e abominevoli.
Tale programma della Heritage Foundation propone misure per una potenziale maggioranza repubblicana, tra cui restrizioni nazionali sull'aborto, l'eliminazione delle pillole abortive, la fine dei programmi di diversità, equità e inclusione, e la riclassificazione dei lavoratori governativi per facilitarne il licenziamento.